Il Tombolo

Il ticchettìo quasi ritmico dei fuselli che scorrono tra le abili dita, riporta immediatamente alla memoria l’atmosfera dei lunghi pomeriggi invernali e delle serate passate davanti al focolare a lavorare il tombolo. Quasi per magia ci sembra di entrare nella bellissima tela di Teofilo Patini, “Le orfanelle”, che ritrae una madre colta nel sonno mentre ricama e nel frattempo veglia sui suoi piccolini. Ma la meraviglia è ancora maggiore non appena si varca la soglia della Scuola di tombolo di Scanno, perché quelle ci troviamo di fronte sono delle ricamatrici giovanissime, in jeans e minigonna. Marina, Aurora, Annarita, Elena, Linda, Marta, Danila, Lisa, Eleonora, Gloria, Flora, Luisa e Laura frequentano le scuole elementari e medie nell’Istituto comprensivo “Romualdo Parente” del centro montano e un pomeriggio alla settimana tornano in aula per imparare a fare il tombolo.

Si tratta di un piccolo miracolo moderno, un ponte invisibile lungo almeno tre generazioni che da cinque anni si rinnova grazie all’iniziativa di alcuni insegnanti locali, alla disponibilità della dirigente scolastica Loredana Antonelli e alla infinita pazienza delle maestre merlettaie Roberta Di Zillo e Nunziatina Lavillotti, coadiuvate da Giovanna Silla.
La realizzazione di merletti era una pratica che ben conoscevano le loro antenate, alle quali fin da piccole veniva insegnato ad eseguire delicate trine che avrebbero poi arricchito il proprio corredo da sposa, “la dote” come si chiamava allora. Dal dopoguerra l’associazione Asilo d’Infanzia “Buon Pastore”, con l’ausilio delle suore salesiane e di alcune insegnanti locali, ha ospitato nei suoi locali un apprezzato corso professionale regionale di ricamatrici al tombolo.

Poi, una ventina di anni fa, l’inevitabile chiusura. Le iscrizioni sono iniziate a calare drasticamente: le ragazze preferivano percorsi scolastici che offrissero loro diplomi certamente più spendibili sul mercato del lavoro. E così il vecchio e caro tombolo è finito in soffitta. La nuova Scuola rappresenta così un esempio di come si possa tutelare il passato, affidando il testimone della memoria alle future generazioni. Il tombolo è una delle lavorazioni più antiche e diffuse, soprattutto nelle regioni del Nord. La cosa che rende però unico il merletto scannese è il suo utilizzo: infatti non è applicato esclusivamente alla biancheria intima o di casa, ma fa bella mostra di sè sul tipico abito femminile. Una delicata trina, “la scolla”, come una sorta di sottile gorgiera, sbuca da “ju cummudine”, il corpetto chiuso da dodici bottini d’argento. Questo inedito abbinamento tra il panno pesante e scuro e il leggero pizzo al tombolo, incornicia il volto ed addolcisce le linee severe e castigate degli abiti femminili, dando vita ad uno dei più noti ed apprezzati costumi tipici della penisola.
Da dove il piccolo e remoto centro montano abbia preso origine la lavorazione del pizzo a fuselli non è dato di sapere. Vista comunque la sua diffusione in diversi centri dell’entroterra aquilano, si è ipotizzata un’influenza delle maestranza lombarde che nella seconda metà del settecento scesero in Abruzzo.
Fatto sta che Scanno nel corso dei secoli ha elaborato un suo originale modo di lavorazione che lo caratterizza e lo differenzia dagli altri. I fuselli sono appunto dei piccoli fusi in legno, preferibilmente di ciliegio, sui quali viene avvolto un sottile filo di cotone, che varia a seconda del lavoro da realizzare. Il ricamo consiste in un complesso intreccio tra queste coppie di fuselli, mentre il filo a mano a mano che il pizzo si va formando, viene fissato con degli spilli al tombolo, che è altro non è che un cilindro riempito di paglia. Gelosamente custoditi dalle merlettaie di professione erano i cartoni dei disegni, la maggior parte dei quali antichi, che rappresentavano una sorta di catalogo dal quale le ragazze sceglievano i pezzi per il corredo. Praticamente impossibile quantificare le ore di lavoro necessarie per realizzare uno di questi piccoli capolavori.

E sempre legata al costume femminile è la tradizione orafa di Scanno. Le creazioni dei maestri sembrano ispirarsi ai motivi del merletto e i delicati fili d’oro e d’argento danno vita a bottoni, spille, cio

 

ndoli e orecchini leggeri come trine, a volte impreziositi da pietre dure e smalti. La grande svolta nell’artigianato orafo si ha intorno agli anni ’50, quando nella lavorazione vengono introdotti dei nuovi processi. Dai vecchi ossi di seppia si passa alla fusione cosiddetta “a cera persa” che allarga di molto il ventaglio delle creazioni e nella saldatura la fiammmella a petrolio, con beccuccio ricurvo a fiato, viene sostituita dalla moderna fiammella a gas. Ancora per un pò di anni quello dell’oreficeria continuò ad essere un artigianato povero, come del resto gli altri. La mancanza di denaro si traduceva in un commercio fatto su commissione che spesso ricorreva al baratto. Non era raro che le giovani spose pagassero la “bottoniera” da indossare il giorno del matrimonio con una scorta di legna raccolta nei boschi. Merce di scambio per un anello nuziale potevano essere anche patate, farina o lana. Che cosa è rimasto di tutto questo nella moderna oreficeria di Scanno? Innanzitutto le tecniche che si sono conservate pressocchè immutate e poi gli artigiani, tutti del posto, utilizzano ancora gli originali modelli in piombo per i lavori anche se riescono a creare monili che, nel pieno rispetto della tradizione, strizzano l’occhio alle ultime tendenze di moda. Certo è che passeggiando tra le vie del centro storico non si può restare indifferenti davanti alle scintillanti vetrine delle gioiellerie che sembrano quasi inseguirsi tra loro, mentre chi volesse acquistare dei lavori al tombolo, oltre che ai negozi di artigianato locale, può rivolgersi al laboratorio di Mamma Margherita dove è possibile trovare applicazioni e centrini fatti a mano dalle volontarie che poi devolvono il ricavato in beneficenza.

 

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