COSTUME NUZIALE E LE TRADIZIONI PIU' ANTICHE

 

Il costume delle donne di Scanno è servito a storici storiografi per ricercare le antiche origini del popolo scannese.
Se con la c.d. «lapide di Betifulo » si è cercato di ricostruire le origini di Scanno quale oggi è, studiando il costume femminile, si è voluto risalire ancora più indietro con il tempo, fino alla primitiva formazione etnica che, attraverso infinite peregrinazioni, avrebbe finalmente trovato sui monti scannesi il luogo a loro più confacente perché forse con le stesse caratteristiche della loro lontana terra di origine.
Qui ci limitiamo ad una descrizione del costumi con tutte le modifiche che si sono avute attraverso i secoli.
Il costume che è oggi indossato dalle donne di Scanno e solo da esse in tutto il circondario, sebbene anticamente fosse indossato anche in altri paesi (1), pur conservando molti caratteri che si sono perpetuati nel corso dei secoli, è molto diverso da quello che era indossato nel XV-XVII sec così come ci è stato tramandato da una ceramica che si vuole esser stata prodotta dall'attività della Real Fabbrica di Capodimonte nella prima metà del 1700 costume antico

E se a prima vista l'attuale copricapo può sembrare simile al quattrocentesco, si può affermare che si è giunti a questa somiglianza quasi Involontariamente attraverso i continui e sostanziali mutamenti avvenuti soprattutto durante gli ultimi due secoli: il XIX ed il XX.Il costume, indossato ormai dalle donne la cui età va dai 55 anni in su, si presenta cosi.Il copricapo è formato da un maccaturo, un panno di lana di vario colore a forma quadrata che piegato trasversalmente viene avvolto attorno al capo e tenuto da un nodo fatto dietro il collo in modo da lasciar cadere due code sulle spalle.

Costume giornaliero
Sotto questo maccaturo vi è un altro panno di colore bianco a forma triangolare (di fustagna o di cotone a seconda delle stagioni) che viene detto strapìzzo, esso viene avvolto ed annodato attorno al capo in modo da assicurare stabilità alle trecce. 
Le trecce sono formate dai lacci, cordoni che si avvolgono attorno ai capelli in precedenza divisi dal davanti fino all'occipite in due parti uguali.
La gonna, che viene detta casàcca, è di panno verde-cupo tessuto in casa con fitte trije (pieghe) nel di dietro ed ai fianchi - liscia nel davanti - raccolte e congiunte da un pezzo di panno a foggia di toga senza maniche.Nel davanti del petto viene abbottonata con tre ganci di ottone detti grappe ed un quarto assicura la gonna a sinistra all'altezza del fianco. 
Lunga fino alla caviglia, la gonna è formata da numerosi teli di panno cuciti parallelamente e può avere una larghezza che varia tra gli 11 ed i 15 metri, il peso si aggira attorno ai 10 chilogrammi.
Tutto attorno, internamente alla gonna, corre la pedéra, una pedana di panno color scarlatto alta 7-8 cm. Al lato destro è cucita una ampia e larga tasca detta scarsèlla.

Il giubetto fatto a maglia con maniche lunghe è il più delle volte scollato a « V » e viene comunemente detto maija.
La mantèra sopra la gonna viene indossata la mantéra, un grosso grembiule di cotone di vario colore largo oltre due metri.
Nozioni legato attorno alla vita con una fettuccia infilata in apposita pieghetta ed è lasciato aperto nella parte posteriore da dove escono le pieghe della gonna. La mantéra ha due aperture laterali dette carafòcce: quella di destra serve per poter infilare la mano nella tasca, tutte e due servono per poter mettere le mani sotto il grembiule, essendo abitudine portarle in quel modo. Le calze sono di lana filata e le scarpe basse l'estate ed alte l'inverno.  A questo costume si è giunti per esigenze di praticità. Ma se messo a confronto con quello che era indossato quotidianamente da tutte le donne di Scanno nell'ottocento fino ai principi del novecento, non si può negare che è molto più dimesso e toglie molta bellezza, imponenza ed austerità a chi lo indossa. Se tanti sono rimasti ammirati dal costume di Scanno, ciò che li ha colpiti indubbiamente sono stati il cappellìtto ed il cummodine oltre al modo di indossarli. Il cappellìtto è una specie di turbante che anche oggi viene indossato nei giorni festivi in sostituzione del maccaturo, acconciatura questa più semplice a preparare e meno difficoltosa a sostenere in capo.
Il cappellìtto si prepara più o meno così: le trecce si fanno con dei lacci lunghi 12 m. di lana o di seta e si legano fra di loro sulla testa. Chi non ha i capelli sufficientemente lunghi e quindi non potrebbe fare le trecce della giusta lunghezza, mette tra i capelli, verso la loro estremità, due pustìcci (cordoncini di colore nero). Preparate le trecce si avvolge attorno alla testa, tenendola fissa con degli spilli, la tocca (striscia di panno bianco); su di essa si fissa una seconda tocca bianchissima. Al di sopra ed ai lati del grande anello che così si ottiene si mette il fasciature di panno nero in modo da formare sul davanti due picche, dietro la cola (coda), una sola che non oltrepassa la lunghezza del collo, e lasciar uscire due triangoli della tocca sui lati. Il turbante si regge benissimo sulla testa: solo qualche donna usa fermarlo con degli spilli nella parte posteriore. Il giubetto o giustacuore (cummodine) è fatto con panno nero. Ha le maniche lunghe strettissime ai polsi, pieghettate quivi ed alle spalle e larghissime a mo' di calzoni alla zuava con la maggior larghezza verso il gomito.  Nel dietro in basso da una piccola coda guarnita come tutto il giubbetto da una fettuccia di vario colore. E' aderente alla vita ed abbottonato in modo strano. Il seno viene chiuso in due rigonfiamenti e tenuto in alto perchè al di sotto vi è una fila di ganci (grappe) che si agganciano cominciando dal basso. Al di sopra vi sono 12 bottoni dei quali sei disposti su due file di tre ciascuno su un pezzo di panno rettangolare che viene detto pettìja e sei in linea al di sopra di essa. Il giubetto nel davanti chiude il petto quasi fino al collo. Al comodino nella parte che chiude il collo è cucito un fini merletto: la scolla. 

Quando vanno in campagna portano le chezétte-ferrète, calze nella cui pianta è cucita pelle di pecora conciata o di altro animale.
Dovendo portare pesi sulla testa le donne usano la spara (grosso anello di tela pieno di stracci). Per evitare che la gonna si logori e si sporchi durante i lavori campestri, viene fissata in su fino ai polpacci delle gambe e stretta intorno al corpo e precisamente ai fianchi da una cinta intessuta dalle donne stesse e che si chiama azzàccaratora. 
Il copricapo è fatto di stoffa nera quando chi lo porti è in lutto, anzi nei casi di lutto grave le donne coprono il viso con un grosso fazzoletto piegato a fascia che viene legato alla nuca al di sopra della coda del copricapo e che si chiama abbruvedature.Gabriele d’Annunzio, nel suo romanzo “Il trionfo della morte” trasse spunto ed ispirazione dal folklore abruzzese e diede un nome ad un monile in uso tra le donne: «Portava agli orecchi due grandi cerchi d’oro e sul petto la Presentosa, una grande stella di filigrana con in mezzo due cuori». Fa subito capire che il suo personaggio femminile è legata sentimentalmente: due cuori, non uno. Un vero e proprio mezzo di comunicazione visiva: un cuore al centro della stella rendeva noto, infatti, lo stato nubile dell’indossatrice e in genere veniva regalata dalla madre, o entrambi i genitori, in età maritale. Il gioiello recante due cuori, legati da una chiave o da un nastro, era donato dai genitori di lui come “pegno” d’amore, come patto di promessa sposa. Il ciondolo con al centro una nave, veniva donato dal padre dello sposo, o anche dallo sposo, il giorno delle nozze e stava a simboleggiare l’inizio di una navigazione in due verso una nuova vita, quella matrimoniale. Nel nome, inventato probabilmente da d’Annunzio, è racchiusa tutta l’importanza del pegno: “Presentosa” nella sua storia viene interpretato come oggetto prezioso, ornamento personale, ricevuto, in genere, come “Presente”, come dono da sfoggiare con presunzione. Le origini della presentosa non sono note, tuttavia le prime notizie attestate sulla produzione di tale manufatto risalgono ad un periodo compreso fra il 1804 e il 1816, quando compare per la prima volta come bene dotale di spose, mentre le prime fabbriche sorgono ad Agnone ed a Guardiagrele

 Cfr. DI RIENZO, Buio sulle origini di Scanno in La FOCE 1951, A. VIII, n. 7, p. 2. Ivi così si legge tra l'altro: « Alla maniera di Scanno si vestiva fino a tempo imprecisato a Frattura, e secondo la tradizione locale, anche a Villalago. In un salone della reggia di Capodimonte in Napoli, si ammirava nello scorso secolo (ignoro se vi esista tuttora) un mobile, nel cui legno era bellamente incastonata una serie di medaglioni in porcellana, prodotto della rinomata fabbrica creata da Carlo III, riproducenti costumi de Regno delle Due Sicilie. In uno di essi era raffigurata una coppia un uomo ed una donna, vestita alla maniera scannese e sotto l'indicazione "Frattura". Possediamo una stampa colorata della metà de 1700 riproducente il modo di vestire delle donne di Villalago. Anche in essa gli stessi caratteri come in Scanno e Frattura